Ma cosa spinge milioni di italiani (si calcola che gli scommettitori siano nel Bel Paese 34 milioni [1]) a tentare (l'improbabile) fortuna, perdendo più di quello che si guadagna?
Partiamo dal presupposto che il banco non può mai perdere, poichè è su questo meccanismo che si basano i proventi dello stesso. Secondo Luigi Irdi - autore dell'articolo - gli accorgimenti vincenti nel settore dei "gratta e vinci" (uno dei più fiorenti) sono i seguenti:
- Mantenere bassi i prezzi, in modo da far parere la spesa singola esigua ed insignificante;
- Far vincere lo scommettitore piccole somme, in modo da incentivarlo a continuare a scommettere;
- Utilizzare gli stessi accorgimenti estetici (colori, forme ecc) introdotti nelle slot-machine, al fine di "calamitare" i giocatori.
La risposta è molto semplice: perchè i guadagni conseguenti al gioco sono elevatissimi e ad "impegno 0".
Se a Pavia si spendono 2125 euro pro-capite [2] in azzardo, è ovvio che lo stato continuerà a guadagnare, svuotando i portafogli ai più poveri, ossia i giocatori più incalliti.
Ma il gioco da vizio può anche trasformarsi in un'ossessione, che arriva ad occupare gran parte della vita e delle risorse della persona. Si stima che in Italia siano affette da questa patologia (non riconosciuta ufficialmente) un numero di persone compreso fra 800mila e 2 milioni. Numeri impressionanti che ci fanno comprendere la gravità del fenomeno, che continua ad espandersi a macchia d'olio nelle fasce più povere della popolazione, facilmente abbagliate da opportunità di facili guadagni.
Ma dobbiamo anche considerare che dietro al gioco d'azzardo spesso si nascondono i grandi gruppi della criminalità organizzata, che sfruttano l'imponente giro di denaro per riciclare proventi illeciti dalle più disparate attività.
Cosa aspetta lo Stato a proibire il gioco d'azzardo, fenomeno che potrebbe dilagare - vista anche la situazione economica pessima - e diventare una vera piaga per la società italiana.
Note:
[1] - Il Venerdì di Repubblica 23 Dicembre 2011 § p. 35
[2] - Il Venerdì di Repubblica 23 Dicembre 2011 § p. 34